Il limbo della limerence: né dentro né fuori

Il vero limbo della limerence non è una fase intermedia verso la guarigione. È uno stato statico, spesso lungo anni, in cui restiamo imprigionati nell’ossessione per qualcuno che non ci ha mai dato una risposta chiara. Non ci ha detto sì, ma nemmeno no. È lì, in un angolo della nostra mente, a volte con piccoli segnali ambigui, altre volte solo come presenza immaginata, ma mai davvero fuori dalla nostra testa.

Nel frattempo, noi rimaniamo lì. Incapaci di chiudere. Incapaci di voltare pagina. Intrappolati tra speranza e rifiuto, tra interpretazioni e silenzi, tra “forse” e “magari”.

Il limbo non è un ponte. È un pantano.


Com’è fatto il limbo?

Il limbo è uno stato mentale sospeso, alimentato dalla speranza e dall’incertezza. Due ingredienti che, se costantemente presenti, possono tenere viva la limerence per anni, perfino decenni. Non è una fase di passaggio: è un blocco. Non è un indebolimento dei sentimenti: è il loro congelamento. Si continua a provare le stesse cose, giorno dopo giorno, nella speranza che qualcosa, prima o poi, cambi.

È pieno di frasi come:

  • “Non riesco a smettere di pensarci, anche se so che non porterà a nulla.”
  • “Forse un giorno capirà…”
  • “C’è qualcosa tra noi, lo sento, anche se non lo dice.”

Il limbo è quello spazio mentale in cui continui a girare attorno a una persona, anche se sai che non c’è nulla da raccogliere. Dove ti senti stanco, ma continui a sperare. Dove razionalmente sei lucido, ma emotivamente ancora agganciato.



Perché è così difficile uscirne?

Perché il limbo è comodo. Non fa male come all’inizio, ma non richiede nemmeno il coraggio definitivo di chiudere tutto. È una zona grigia in cui puoi ancora illuderti che, chissà, forse…

In più, la speranza e l’incertezza – le due benzine della limerence – continuano ad essere presenti. Anche in forma debole, bastano a tenerti lì. Perché in fondo non è il LO che stai aspettando: è un segnale, un motivo, una scusa per crederci ancora un po’.

Perché non riusciamo ad uscirne?

A volte, il limbo ci viene imposto. È vero che possiamo fare scelte diverse, prenderci la responsabilità del nostro benessere e decidere di tagliare i contatti. Ma ci sono casi in cui il comportamento del LO (Limerence Object, l’oggetto delle nostre ossessioni) ci intrappola senza che ce ne accorgiamo.

Se sei single e speri che tra voi possa nascere qualcosa, è normale avere un po’ di incertezza, un misto di speranza e pazienza. Ma se il LO non è disponibile, è ambiguo, è incoerente nei segnali che manda, allora il limbo diventa un’attesa perenne. Un continuo “vediamo che succede”.

Il peggio? Un LO manipolativo. Alcuni LO non hanno nessuna intenzione di costruire qualcosa, ma ogni intenzione di tenerti lì per nutrire il proprio ego. Vogliono sentirsi desiderati, ammirati, al centro. Non mollano, e appena ti allontani un po’, tornano con un messaggio, un gesto, un sorriso, abbastanza per farti dubitare. Perché “qualcosa c’è, ma cosa?”

In pratica, a volte il LO ti usa come un giocattolo. Ti dà ricompense intermittenti — un meccanismo potentissimo dal punto di vista neurologico, difficile da spegnere perché mantiene viva l’illusione del “forse stavolta…”

E purtroppo, là fuori, ci sono parecchi LO poco limpidi che preferiscono tenerti nel limbo. Per il proprio divertimento. Per bisogno. Per paura di restare soli.

E intanto, tu resti lì. In bilico. (fonte: https://livingwithlimerence.com/limerence-limbo/)


Oppure è una stasi reciproca

Una variante del limbo imposto è quando la limerence è reciproca, ma entrambe le persone sono bloccate. In questo caso, non si tratta tanto di manipolazione quanto di indecisione. Il limbo nasce da un tira e molla continuo, da sentimenti intensi non gestiti, da un legame che nessuno dei due riesce davvero a chiudere.

Si tratta di due persone che si desiderano, si temono, si attraggono e si respingono a fasi alterne. Nessuno riesce a prendere una decisione chiara, e così si resta lì, sospesi in una danza confusa che logora entrambi.

Peggio ancora, quando uno dei due trova il coraggio di tirarsi indietro, l’altro va nel panico e tenta di riagganciarlo. E se la persona che si era allontanata ha anche una tendenza al “salvare” l’altro, è la ricetta perfetta per il disastro: ritorna in scena, dà segnali, l’altro si calma e si illude… salvo poi provare rabbia e delusione quando capisce che nulla è cambiato, e si ritira a sua volta.

È un loop. Un valzer emotivo stanco e senza musica. E se fosse una danza reale, chi guarda da fuori resterebbe ipnotizzato tra il disagio e la tristezza, chiedendosi come mai nessuno si fermi. (fonte: https://livingwithlimerence.com/limerence-limbo/)


Come si esce dal limbo?

Non con forza bruta. Non con giudizi severi. Ma con consapevolezza.

  • Riconoscendo che questo stallo è una forma di prigionia mentale. Pensando a tutto il tempo perso, a tutte le energie sprecate finora.
  • Accettando che non serve una chiusura perfetta per andare avanti.
  • Smettendo di aspettare “una risposta” o “un segnale” che probabilmente non arriverà mai. O arriverà ma poi ti sarà tolto di nuovo.
  • Reindirizzando l’energia mentale da “cosa pensa il LO” a “cosa voglio io davvero”.

E poi, con piccoli passi concreti:

  • Allontanandosi gradualmente da tutto ciò che riattiva l’ossessione: i profili social, i luoghi frequentati, gli oggetti che portano a lui/lei.
  • Riappropriandosi del tempo e dello spazio mentale occupato dal LO. Fissando appuntamenti con amici, ritrovando passioni dimenticate, iniziando qualcosa di nuovo anche se all’inizio non entusiasma.
  • Dandosi obiettivi nuovi, che non abbiano nulla a che fare con il LO. Obiettivi piccoli, realistici, personali. Un progetto, un corso, una sfida creativa. Qualcosa che ti appartenga e che ti riporti al centro.
  • Spostando la narrazione: da “quando passerà?” a “come voglio sentirmi?” — e poi costruendo attivamente la vita che risponde a quella domanda, incarnando già la persona che vuoi essere senza il LO.

Non è facile, ma ogni passo conta. Ogni giorno in cui scegli di restare con te stesso, invece che con l’illusione di una possibilità, stai ricostruendo qualcosa di più solido: la tua libertà.


Il limbo sembra uno spazio neutro, ma in realtà consuma. E se resti troppo a lungo in mezzo, rischi di perdere anche il senso della direzione.

Scegliere di uscirne, un po’ alla volta, è già una forma di guarigione.


E se ci ricado?

Fa parte del processo. Il limbo ha una strana attrattiva: sembra meno doloroso dell’ossessione pura, ma anche meno definitivo della chiusura. È normale oscillare, avere giorni in cui ci si sente più forti e altri in cui tutto sembra tornare indietro.

Quello che conta è la direzione, non la perfezione. Ogni piccolo gesto che ti riporta a te stesso è un passo in avanti, anche se all’inizio non sembra cambiare nulla.

Non devi essere perfetto, devi solo continuare a sceglierti. Anche quando fa male. Anche quando non hai voglia. Anche quando ti sembra di non fare progressi.

Perché il limbo non finisce con una decisione netta. Finisce un giorno qualsiasi, quando ti accorgi che finalmente — senza accorgertene — hai smesso di aspettare.

Lascia un commento

CHI SONO

Mi chiamo Nada. Non sono una psicologa né una neuroscienziata, ma una ricercatrice che ha vissuto in prima persona l’esperienza della limerence. Il mio obiettivo è raccogliere e condividere le migliori fonti e informazioni disponibili per aiutare chi si trova alle prese con questa condizione, offrendo supporto e comprensione attraverso la conoscenza.

ARCHIVIO